mercoledì 23 febbraio 2011

lo show della vita fittizia

E' stato questo il titolo del tema che ho fatto alla fine dell'altro corso intensivo nelle prime due settimane. 
La traccia era questa: analizzare tre film tra quelli trattati in classe sul tema del rapporto tra sogno e realtà nella cinematografia. io ho scelto "che cosa sono le nuvole?" di Pierpaolo Pasolini, "the Truman show" di Peter Weir e "Nirvana" di Gabriele Salvadores (film che peraltro consiglio di vedere) e ne ho tratto un saggio di cui riporto la brutta copia. Purtroppo l'originale ce l'ha la professoressa. Buona lettura!


“Noi siamo in un Sogno dentro a un Sogno”: è questa la risposta che si può dare a chi si domanda il senso della nostra vita. O quantomeno è la risposta che nel cortometraggio di Pierpaolo Pasolini “Che cosa sono le nuvole?” la marionetta- Iago offre al burattino- Otello. Nella loro opera teatrale, infatti, Iago metterà in atto ogni sorta di menzogne, che porteranno Otello ad uccidere l’amata Desdemona, credendola una traditrice. La storia è pertanto già scritta, e le marionette non possono far altro che seguire il copione, obbedire ai fili del burattinaio. La loro vita è un “sogno”, una finzione, dove loro portano la maschera del cattivo e del geloso, e non possono vivere se non recitando. Ma è anche “un sogno dentro a un sogno”: con questa frase provocatoria Pasolini vuole forse alludere al fatto che nel mondo fuori dal teatro gli esseri umani non si comportano poi così diversamente. Vivono con una maschera sul volto, imposta dalla società, dagli altri o forse da loro stessi ed è questa maschera che determina la loro vita fittizia. Le marionette se non altro sono consapevoli del loro stato di schiavitù. La frase “noi siamo in un Sogno dentro a un Sogno” è un’amara verità. L’essere umano è costretto a fingere, a recitare, per poter continuare a stare sul palcoscenico del mondo, insieme a tutte le comparse della sua vita, altrimenti la regia dei condizionamenti sociali potrebbe arrabbiarsi. Se poi pensiamo che siamo ormai assuefatti all’era del villaggio globale, non dovremmo avere difficoltà a vedere la nostra vita come uno show in mondovisione, non molto diversa dal “The Truman show”. Truman, come viene raccontato in una pubblicità- flashback a metà del film, è protagonista inconsapevole di una serie televisiva dal vivo. Tutti i rapporti con gli altri sono dunque fittizi, sua madre, sua moglie, il suo migliore amico altri non erano se non attori che recitavano la propria parte. L’idea che nel suo mondo non ci sia nulla di reale disgusta Truman, che tenta in tutti i modi di fuggire. Ma proprio quando è a un passo dalla meta, il regista dello show gli parla, dicendogli  che fuori dal set non troverà un mondo più reale di quello costruito artificialmente.
 Magari noi non abbiamo milioni di telecamere a tenerci sotto controllo, ma chiunque incontriamo, sarà portato a classificarci in stereotipi e di conseguenza ad aspettarsi qualcosa da noi. Sentirsi osservati è una sensazione dalla quale il genere umano non riesce mai a liberarsi: è quella sensazione di essere tenuti sotto controllo che determina la quasi totalità delle nostre azioni pubbliche. Molto spesso è questo istinto congenito che permette la convivenza civile: non urliamo nel cuore della notte per non svegliare i vicini, non gettiamo carte per terra in una strada affollata da persone che conosciamo, e così via. In realtà non ha solo risvolti positivi: il mondo spettatore sa essere cinico fino all’inverosimile, e anche se a parole disprezza la violenza e le ingiustizie, ne ha bisogno per spezzare la sua monotonia. Tornando al precedente esempio, il mondo  dell’Otello non attirerebbe un pubblico solo per guardare il tenero amore tra Otello e Desdemona: lo infervora di più vedere la malvagità di Iago e il delirio di Otello, così come ha bisogno di vedere tragedie e stragi al telegiornale o di ammazzare qualcuno alla Playstation. E non è il mondo moderno ad averci educati alla violenza, non cerchiamo scuse: dalla notte dei tempi niente attirava la folla come un esecuzione capitale, una tragedia ricca di omicidi o uno spettacolo di gladiatori.
Nel film “Nirvana” Solo è un personaggio di un videogioco, costretto a sparare e ad essere sparato perché “sennò chi gioca si annoia”. Quando un virus lo contamina egli viene a conoscenza di essere in un gioco, e chiede a Jimi, il suo creatore, di cancellarlo, perche non vuole essere uno schiavo. Ma se questo mondo è così fittizio, perche non ci ribelliamo? “Perché devo ammazzare Desdemona?” chiede Otello al burattinaio, e la risposta di quest’ultimo è enigmatica: “forse perché in realtà tu vuoi ammazzare Desdemona” “forse perché a Desdemona piace essere ammazzata”. Allora è così? Non ci ribelliamo al copione imposto perché ci piace seguirlo, o piuttosto perché senza non sappiamo improvvisare? Tale risposta sembra trovare conferma nell’atteggiamento di Maria, che in “Nirvana” non vuole credere a Solo quando le spiega che è tutto un videogioco; o nel comportamento dei cacciatori di organi, che si rifiutano di ascoltare l’appello di Solo “spiazziamoli” e perseverano nei loro intenti malvagi. Ogni film si conclude con una “morte”. I burattini di Iago e Otello devono essere buttati in una discarica per vedere le “nuvole”, Truman deve uscire di scena per scoprire cos’è la realtà e Solo non ha altra scelta se non chiedere di essere cancellato.
Ma allora è tutto finto, non c’è niente di vero ne’ in noi ne’ nel mondo? Forse no, se ci limitiamo al mondo del sensibile e del razionale, ma la verità può esistere, come fa notare Iago ad Otello, solo nel profondo di noi stessi. Ma se la si esprime a parole la si riduce ad un suono stereotipato, e diventa così menzogna: meglio custodirla dentro di noi.



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